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Giochi col Cappello

Era un pomeriggio di inizio estate.

L’aria era calda, ma il vento forte stava scompigliando i capelli a entrambe.

Greta era davvero molto felice, perché la scuola era quasi terminata e presto sarebbe stata libera di trascorrere le sue giornate nel modo che più la dilettava.

Anche io ero particolarmente contenta: i miei impegni stavano diminuendo e di lì a poco avrei avuto più tempo da dedicare a noi.

Il sole sembrava non voler andare via quel pomeriggio e noi avremmo fatto di tutto per restare al mare fino all’imbrunire. Avevamo passato fin troppe giornate chiuse tra le mura di casa nostra. Quel giorno avevamo davvero bisogno di assorbire tutto ciò che la natura attorno a noi poteva offrirci.

La spiaggia era più bella che mai. Silenziosa, calda e deserta.

Io avrei voluto continuare a giocare a carte seduta sull’asciugamano, ma Greta no. Lei voleva andare a fare l’ennesima passeggiata.

Non volli insistere: la bambina aveva bisogno di camminare.

Mi alzai, presi la borsa con il telefono, bevvi un goccio d’acqua e, dopo aver fatto indossare alla piccola il suo cappellino di paglia, mi incamminai con lei sulla riva.

Tutto sembrava così incredibilmente calmo. Anche il mare a un certo punto pareva aver perso la sua voce. Il vento continuava a soffiare, ma aveva cessato di far rumore.

“Era troppo tempo che non venivo in spiaggia” pensai. “Questo posto mi sembra così diverso dall’ultima volta che quasi non lo riconosco più.”

Greta era accanto a me, la sua mano nella mia mano. Entrambe passeggiavamo con andamento veloce, senza parlare.

Avevamo quasi raggiunto l’estremità della riva di levante quando mi accorsi di non sentire più la piccola al mio fianco. Mi girai di scatto, ma Greta non c’era.

Si era come volatilizzata, doveva essere andata davvero lontano.

Ma come poteva essere successo? La stavo tenendo così stretta, era impossibile che non mi fossi accorta che aveva deciso di staccarsi da me.

Ero spaventatissima. Il panico si stava impossessando di me.

La spiaggia era deserta, di altri bagnanti non si vedeva nemmeno l’ombra.

“Dove sei finita, tesoro mio?” gridai.

 

In quel momento il più grande dei miei incubi aveva preso forma.

“Dove sarà la mia bambina? Chi la avrà presa? Chissà cosa le staranno facendo?” iniziai a pensare.

E poi il senso di colpa.

Ero io la causa di tutto questo, avrei dovuto fare più attenzione…

Eppure, fino a qualche istante prima stavo sentendo il suo profumo qui vicino a me, le sue piccole dita stavano stringendo la mia esile mano…

Sembrava tutto così assurdo.

 

In quel momento avvenne quanto di più incredibile fosse mai capitato fino ad allora nella mia vita.

Guardai la mano dove prima stavo stringendo quella della bambina e mi accorsi che adesso stavo reggendo il suo cappello di paglia.

“Ma cosa diamine mi sta succedendo?” pensai.

Fino a un minuto prima avrei potuto giurare di aver visto quella mano vuota.

Non sapevo cosa fare: la testa tutto a un tratto cominciò a girarmi. “È senza dubbio lo sgomento” mi dissi.

Dovevo cercare di mantenere la calma.

Dovevo prendere il cellulare e chiamare la polizia.

Ma la testa continuava a girarmi…

 

Tutto a un tratto cominciai a vedere il paesaggio attorno a me completamente sfocato. Mi sembrava di essere all’interno di un vortice senza fine.

Persi i sensi.

Al mio risveglio mi ritrovai nuovamente in spiaggia. Questa volta però il litorale che mi circondava era completamente diverso da quello in cui ero abituata a trascorrere le mie vacanze con Greta.

 

La riva sembrava non avere un inizio, né una fine.

C’era il mare davanti a me. Era bellissimo, limpido come non lo avevo mai visto.

Mi girai, volevo vedere cosa ci fosse dietro. Mi aspettavo di trovare qualche stabilimento balneare o magari di vedere una strada in lontananza.

Invece niente.

Ancora mare.

“Ero come prigioniera di quest’isola senza fine.

Dopo un momento di terrore, tornai a girarmi e mi accorsi che poco distante da me quasi magicamente era comparso il cappellino di paglia.

“Sto impazzendo” dissi rassegnata. Mi avvicinai per toccarlo con mano nella speranza di convincermi che si trovava davvero lì e che non stavo avendo delle allucinazioni.

Presi il cappello in mano e immediatamente sentii vicino a me un odore molto familiare. Era il profumo di Greta misto a quello della salsedine, probabilmente la mia fragranza preferita.

 

La bambina era di nuovo vicino a me. Aveva i capelli bagnati, la pelle d’oca e un sorriso smagliante: era appena uscita dall’acqua.

“Dove sei stata, amore mio?” le dissi.” Sapessi che spavento ho preso, pensavo ti avessero rapita!”

“In realtà ho solo seguito Kelly” mi disse indicando un granchietto che stava uscendo dall’acqua. “Si sentiva solo e voleva fare un bagno con me.”

“Ho capito, tesoro. Ma perché non mi hai avvertita? E soprattutto, perché ci troviamo in questo posto?”

“A cosa ti riferisci? Siamo al mare, mi ci hai portato tu oggi dopo la scuola.”

Mi girai verso sinistra e vidi nuovamente la fine della riva di levante e il punto preciso in cui avevamo lasciato i nostri asciugamani.

Mi accorsi che dietro di noi c’erano come sempre i chioschi degli stabilimenti balneari, i campi da beach volley e, in alcuni tratti, la strada.

L’incubo era finito: Greta era di nuovo con me e potevamo tornare insieme a prendere le nostre borse prima di andare a casa.

 

Avevo ricominciato a sentire il rumore del mare e il fischiare del vento.

Il profumo di Greta misto a quello della salsedine mi riempiva i polmoni.

Ero davvero felice.

Quella sensazione strana che avevo provato dopo la scomparsa della bambina era andata via, stringere la sua mano adesso aveva un nonsoché di liberatorio.

 

Un po’ stanche arrivammo alla nostra postazione, vicino ai nostri asciugamani.

Poco lontano, accanto a una pietra, vidi il cappello di paglia di Greta.

Non potevo crederci.

Ma allora era sempre stato lì?

 

La piccola lo prese e se lo mise in testa.

Sorrideva. Era davvero tanto contenta

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